Chiese scomparse a Vicovaro

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S. Pietro di Saccomuro
Era una modesta costruzione, come d'uso, impiantata sui ruderi di una villa romana nella località Mammalocchi, un colle presso il castello di Saccomuro a quattro chilometri da Vicovaro verso Tivoli.
Ed è in questa chiesa che alcuni storici vogliono identificare la basilica dedicata a S. Pietro che i nobili Albino e Glafira avrebbero donato a Papa Simmaco (498-514).
La chiesa è menzionata in una divisione tra gli Orsini del 5-1-1288.
Nello Statuto di Saccomuro, rogato il 26 settembre 1311 e concesso da Giovanni Orsini di Francesco a tre rappresentanti della esigua comunità locale, non viene accennata la Chiesa di S. Pietro ma quella di S. Maria il cui rettore, fu uno dei testimoni dell'atto.
Nel secolo XVI la costruzione, ridotta ad un cumulo di rovine, risulta come pertinente alla " tenuta di Saccomuro"
I documenti successivi ne tacciono completamente.

 

Santa Maria in Pesale o Santa Maria in Fundo Rubeto.
Menzionata nei documenti medievali, era localizzata nella località Quarto del Piano. L'edificio a navata unica ed abside era stato eretto sui ruderi di una villa romana. Ora non rimangono che poche vestigia.
Forse è questa la chiesa di S. Maria citata nello Statuto di Saccomuro. I documenti successivi non ne parlano più anche s'è rimasto il toponimo

Santa Maria Vecchia
Posta nella località detta Lo Stazio o Fonte dell'Olmo a sud del bivio della Licinese - via per Roccagiovine. L'edificio, la cui storia è tuttora abbastanza oscura, era stato costruito su ruderi romani.
Alla fine dell'Ottocento nello stesso sito già occupato dalla pieve furono rinvenute iscrizioni ed un sarcofago andati distrutti.

 



Santa Maria de Ronci
Anche se in territorio di Roccagiovine è stata sempre legata affettivamente a Vicovaro.
La chiesa - di cui ora sono rimaste poche vestigia - si erge alla fine della Valle dell'Inferno, a qualche centinaio di metri dai confini di S. Polo, di Vicovaro, dell'ex castello di Spogna, e proprio alla confluenza di altre due "vallocchie" con le relative strade di valico - quella di Valle Fura, a sinistra, e quella di Vena Caprara, a destra.
La chiesuola del Ronci - da non confondere con quella del Podium Runci - fu sicuramente un edificio medievale, nato su ruderi precedenti, completamente rinnovato, tra la fine del sec. XIV e l'inizio del sec. XV, dagli Orsini del ramo di Roccagiovine e Licenza, proprietari del luogo.
La pieve, un edificio rettangolare senza abside, nel suo interno ospitava un unico altare, dedicato alla Vergine, rappresentata col Bambino entro una mandorla di teste di cherubini, in una bella tavola di matrice umbro- laziale del tardo XV- in. XVI, a cui non è azzardato accostare il nome del Pastura (Antonio del Massaro).
Nel secolo XVII è ricordata sempre come di proprietà del ramo degli Orsini di Licenza -Roccagiovine che n'avevano lo jure patronatus.
Passata insieme con l'intero feudo di Roccagiovine - dai Borghese nel 1734 e dagli Orsini nel 1737 - a Vincenzo Nunez, divenne proprietà nel 1821 di Luigi del Gallo.
Nel 1843 la chiesa era ancora curata da due romiti e questo sino a qualche decennio dopo, quando l'edificio rimasto incustodito iniziò a decadere ed a minacciare rovina.
Fu in quelle circostanze che fu traslata dall'eremo di Ronci la Tavola della Vergine col Bambino e portata processionalmente nella parrocchiale di S. Nicola a Roccagiovine ove venne assemblata in una moderna cornice.
Ed a questa trasporto è legata un curioso aneddoto: i Vicovaresi, attaccati alla devozione della Vergine del Ronci tentarono di portare l'Immagine a Vicovaro sottraendola così ai Roccatani ma la coppia di buoi che trasportava il dipinto si fermò di botto per l'improvviso peso, come se la tavola fosse divenuta…di piombo, l'inspiegabile fenomeno fece loro abbandonare il proposito. Ne sono rimasti, però, alcuni ricordi e leggende come certe piante inclinate - genuflesse si dice - al passare dell'Immagine, e nella popolazione un modo di dire per descrivere ciò che paradossalmente diventa di colpo inamovibile: "…Impiummarsi come la Madonna de Runci…".

(Testi di Alberto Crielesi)

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